Lo sport ha tante valenze (fisiche, psichiche, sociali, culturali, economiche e politiche) tanto che gli ruotano attorno i più svariati interessi. Chi lo pratica, giovane o adulto che sia, spesso lo fa soprattutto per la propria soddisfazione o il proprio piacere. Chiaramente l'attività fisica sportiva è organizzata e sotto il controllo delle varie Federazioni che la dirigono secondo linee di indirizzo più o meno coerenti coi principi che spesso, a torto o a ragione, si ritengono giusti.
Gli sport individuali spingono l'atleta a responsabilizzarsi, a concentrarsi e a competere con se stesso mentre quelli di squadra favoriscono la collaborazione, lo spirito di gruppo e la competizione con gli altri inoltre gli sport di squadra esprimono un maggior coefficiente di imprevedibilità (si dice che sono 'aperti')e di relazionalità perciò non è facile allenarli. Il modo migliore per imparare a praticare uno sport di squadra è quello di giocarci fin da piccoli (5-6 anni) magari al parco giochi. Giocare, giocare e ancora giocare, in ogni posto e quando sia possibile, è il comandamento fondamentale per gli sport di squadra tipo calcio, rugby e bastket in cui le squadre possono invadere il campo della squadra avversaria aumentando la possibilità di situazioni imprevedibili, poco ripetibili e quindi difficilmente allenabili. Con la crescita del bambino la tecnica e le situazioni devono farsi sempre più adeguate e specifiche ed è auspicabile che l'allievo possa fare esperienza con attrezzi, su campi e con compagni e avversari consoni alle sue capacità motorie e relazionali. Questo non significa che periodicamente non ci si debba confrontare in partite miste con i dovuti accorgimenti a tutela dei più piccoli anche perchè l'esempio dei più bravi è molto allenante.
Prima di addentrarsi nelle specificità del gioco del calcio, uno sport di squadra, è bene fare alcune premesse riguardanti la società nel suo complesso al di là della specialità particolare. Se un tempo c'erano molti bambini disponibili a giocare nel pomeriggio oggi la società li porta a fare sport fin da piccoli con grande dispendio di risorse anche monetarie in contesti dove c'è il rischio di avere tecnici che poco sanno di come è fatto un bambino, che non sono in grado o non riescono o non provano nemmeno a entrare in relazione empatica con lui ignorando spesso le più importanti regole didattiche e col risultato che alle soglie della pubertà solo pochi giovani completano un percorso motorio e relazionale consapevole con sè stessi, con l'attrezzo e con gli altri. Questo deficit di esperienza comporta difficoltà successive in quanto la maggior parte dell'esperienza motoria importante deve avvenire in età infantile pena la sua inefficacia in età successive. Altro che sognare che i propri figli diventino campioni mandandoli a fare sport fin da piccoli, il rischio che un bambino di talento non riesca ad esprimere le sue potenzionalità in età adultà è elevato quando la società è permeata da tanta ignoranza e superficialità. L'abbandono precoce delle attività sportive in età adolescienzale che non si riesce a contrastare è una questione che dovrebbe far riflettere ma poco o niente si riesce a fare: tutto va avanti come se le esigenze, gli spazi e gli amici per giocare fossero gli stessi di 50 anni fa. Il problema più grande dei bambini sono gli adulti e quindi anche gli allenatori.
Il bambino cresce adeguatamente quando sa ricoscere sè stesso e il mondo ma perchè questo processo si porti a compimento è necessario che nelle attività che fa gli si permetta di provare piacere, un senso di soddisfazione e di coltivare i propri sogni. Riguardo a come un bambino vive lo sport, cioè una attività motoria organizzata, va detto che nel Calcio il sogno di ogni bambino è quello di scartare tutti e far goal in uno stadio gremito di pubblico che lo osanna. Non sto qui a sindacare se tutto questo sia giusto o sbagliato o a dare consigli ma voglio solo che si tenga conto della realtà dei sogni che sono importanti per i bambini che prendono qualsiasi gioco come una cosa molto seria, per loro i sogni sono seri e con questa loro fede bisogna che si confronti ogni allenatore di calcio. E' un pò come affrontare i tifosi delusi per una sconfitta senza la consapevolezza che il tifoso spera sempre di vedere vincere la propria squadra: quando un sogno non si realizza c'è sempre grande tristezza.
A tal proposito ed essendo questo desiderio di scartare tutti presente in moltissimi bambini l'allenatore dovrebbe chiedersi quali sono i propri sogni e cioè che i suoi allievi mantengano il sogno di scartare tutti gli avversari in qualsiasi categoria giochino da grandi oppure non si accontenta e aspira a farli diventare campioni nelle massime serie anche ove veda davvero il talento necessario per farcela ? A mio modo di vedere un allenatore in gamba è quello che gioisce per un goal similmente nelle categorie inferiori e superiori. Non deve limitare il sogno ma nemmeno sminuire quello che appaga in contesti eventualmente inferiori a quelli che sono i canoni delle mode. E' in questo sottile e personale equilibrio di atteggiamenti che l'allenatore deve muoversi, equilibrio tra le mode e la singolarità di ciascun bambino. Altro che omologazione, che standardizzazione, che specializzazione precoce, che uniformità. La vita e il gioco della vita sono tutt'altro. L'allenatore che non ha questa consapevolezza farà molta fatica a vivere bene la sua attività coi bambini.
Il percorso educativo giovanile dipende ovviamente non solo dagli allenatori ma anche dalle dalla famiglia e dai dirigenti delle società sportive: un genitore che si aspettasse che il proprio figlio diventi un campione spesso non si rende conto dei rischi ai quali potrebbe esporlo (sfiducia in sè stessi in caso di fallimento, difficoltà a gestire un eventuale successo al quale non si è preparati). Tornando al sogno di ogni bambino di calcare un giorno l'erba dello Stadio della propria città esso è il frutto delle aspettative che la società trasferisce sui bambini o è un desiderio presente nel bambino indipendentemente da quello che la società innalza a totem. In una società ideale in cui non ci fossero aspettive arrivistiche e prestazionali (cosa evidentemente poco concreta) i bambini avrebbero lo stesso simile sogno ? Se la risposta fosse sì e questa è la risposta che io stesso credo sia anche la più plausibile perchè forse i sogni sono ancestrali e non dipendono dalla società del presente ma da quelle molto più antiche che si perdono nella notte dei tempi, ebbene se davvero il sogno è personale, pur essendo praticamente il sogno di ogni bambino, cosa accadrebbe se non si realizzasse perchè altri più bravi di noi occupassero quei posti che saranno a noi vietati ? La delusione sarebbe enorme ma, all'inverso, la gioia per aver raggiunto un traguardo così ambito potrebbe similmente essere un problema perchè sappiamo che il successo, il privilegio spesso rende schiavo l'uomo. A questo punto sorge spontanea la domanda: è inevitabile che accada tutto ciò oppure è lecito, è auspicabile, si può incidere su questi sogni ?
A studiare il nostro cervello sembrerebbe che l'intelligenza motoria inconscia è in strettissimo collegamento con la sensorialità corporea ed interviene temporalmente ben prima della nostra consapevolezza cinematica. In parole povere il nostro subconscio ha già deciso da un pezzo come muovere il corpo nel momento in cui compio il movimento e queste decisioni vengono prese mettendo in relazione una serie di informazioni che vengono raccolte ed elaborate da aree che nulla hanno a che vedere con l'intelligenza linguistica o del calcolo, per intenderci ma che sono le stesse deputate a raccogliere i dati sensoriali (vista, udito, etc). Entrare in relazione con noi stessi, con la parte del nostro cervello che guida gli atti motori è forse molto più appagante di qualsiasi vittoria e molto più consolante in qualsiasi sconfitta. Educare all'ascolto e alla comprensione del proprio sè motorio aiuta a relazionarsi più profondamente col nostro io e fa anche performare meglio (cosa che piace tanto agli spettatori, ai genitori e ai dirigenti). L'allenatore può aiutare il bambino a percepirsi meglio dal punto di vista motorio invitandolo a sentire le proprie emozioni dopo un certo atto motorio. Ad esempio un bambino che inizia a giocare in porta può sentirsi estremamente appagato nel compiere un tuffo anche senza riuscire a parare il tiro. L'allenatore non dovrebbe sottolineare l'errore ma stimolare il bambino a riconoscere il suo stato d'animo e la sensazione proveniente dal proprio corpo subito dopo l'azione compiuta. L'allenatore può quindi educare e allenare il bambino a conoscersi meglio, ponendo le basi per una crescita del sè equilibrata e armonica. questo potrebbe essere il traguardo più appagamento a cui nessuno dovrebbe essere escluso, tutti possono raggiungerlo a patto che qualcuno glielo abbia fatto intravedere come possibile e come forse più appagante di qualsiasi altra metà, anche quella del successo.
Fatte queste premesse entriamo più nel merito di uno sport di squadra come il calcio.
Si è già detto che a livello giovanile non conta concentrasi sulla prestazione o favorire una specializzazione precoce:è sufficiente lasciar giocare i bambini in vari modi, ovviamente non solo facendo partita. L'allenatore dovrà creare le giuste condizioni affinchè gli allievi imparino a giocare e ad allenarsi per poi, in età adolescienziale, anche a competere e infine a vincere. Un allenatore si forma anno dopo anno con l'esperienza, la resistenza nelle difficoltà e il coraggio di dedicarsi completamente a sè stesso e agli altri (bambini in primis) in modo coerente e franco. Dal punto di vista tecnico, alla luce delle nuove evidenze che le neuroscienze hanno evidenziato come quelle dei neuroni specchio, bisogna fare una profonda riflessione sulle tradizionali metodologie didattiche a cui forse ne vanno forse affiancate di nuove. La didattica può trarre nuovo impulso da questo cambio di paradigma.
La persona umana è un organismo complesso in cui ambiti più svariati si integrano e condizionano. Questa concezione era presente anche prima delle recenti scoperte neuroscientifiche per cui gli allenatori che già consideravano l'uomo un insieme indivisibile di corpo, mente e anima non dovrebbero avere difficoltà a introdurre l'imitazione specifica piuttosto che la razionalità motoria. Per imitazione specifica si intende l'imitazione di un gesto riferibile alla situazione 'agonistica' di un contesto partita, condensato in un breve istante. Difatti un gesto non può essere pensato o avvenire in un contesto protetto, razionale come quello in cui avviene il gesto 'analitico' che appunto è attuazione di un ragionamento sequenziale (ad esempio: puntare il piede d'appoggio nella direzione del passaggio, ruotare la punta del piede calciante verso l'esterno, piegare leggermente il ginocchio d'appoggio, flettere la gamba all'indietro e colpire la palla d'interno piede dirigendola correttamente), di una elaborazione cognitiva fine a se stessa che, dopo aver recepito le informazioni, attua una sequenza indipendente di movimenti. Al contrario bisogna immaginarsi o immaginarlo che avvenga come in partita, quasi automaticamente, frutto forse di una elaborazione ma di cui non deliberata, di cui non siamo consapevoli quindi frutto di un algoritmo che non è necessario conoscere ma solo provare ad attuare e che, come per magia, pian piano, errore dopo errore, si compie in modo personale ed efficace e si ripete in partita, non solo in allenamento dove è chiaro che le difficoltà possono essere minori. A molti allenatori era sicuramente già tutto chiaro ma non si aveva il coraggio di, non si poteva dire che il gesto motorio non fosse il frutto di una congettura intellettuale ma una semplice illuminazione al di fuori dello spazio-tempo che si accende e si spegne al di là della padronanza cognitiva che non c'è e non c'è alcun bisogno che ci sia. Non a caso anche le persone poco acculturate o che abbiano difficoltà con la matematica possono giocare bene a calcio. Similmente un'allenatore che mostra un gesto non lo riesce a insegnare efficacemente eseguendolo come sequenza di gesti disuniti raggruppati in un collage sequenziale perchè il bambino riesce al più a copiare la sequenza disgiunta di gesti seguendo lo stesso procedimento ma ha difficoltà ad eseguire il gesto nella sua naturale complessità. Al contrario basta guardare il gesto nella sua compiutezza per averne una idea che si riesce a replicare. Con questa triste ma realistica e costante difficoltà dell'uomo ad accettare quello che ha davanti agli occhi ma di cui non si avvede solo perchè banalmente non è stato indottrinato a vederlo così chiudo questa premessa scusandomi per le eventuali cantonate presenti e augurando a tutti gli allenatori una carriera piena di soddisfazione interiore, i risultati non tarderanno a darvi ragione.